Perché i brand devono guardare ai Millennials

Perché i brand devono guardare ai Millennials

 

Quella dei Millennials, cioè la generazione di persone nate tra il 1980 e il 1994, quelle che oggi hanno un’età compresa tra i 26 e i 40 anni, è una realtà che non possiamo più ignorare. Anzi, che non vuole essere ignorata.

Conoscere le esigenze di questa grossa fetta di popolazione, in netta rottura con le generazioni precedenti, sta diventando la chiave di lettura adottata da molti brand per attirare e interagire con l’acquirente.

Perché è importante tenerli fortemente in considerazione? E cosa c’è da sapere sui Millennials?

Il potere economico di questa generazione è alto, e si stima crescerà ancora molto. Di fatto, entro la metà di questo secolo, i Millennials avranno a disposizione 41 mila miliardi di dollari, provenienti in parte dai propri guadagni e in parte dall’eredità ricevuta.

Una somma di denaro non indifferente, che da sola può influire e modificare la struttura dell’industria finanziaria. Ma facciamo un esempio per capirci meglio.

Secondo un report di Standard & Poor’s  di cui scrive Pictet, negli Stati Uniti i Millennials sono circa 80 milioni e ogni anno spendono circa 600 miliardi di dollari. Cifra che salirà fino a 1.400 miliardi di dollari. Niente male, no?

È qui che, prendete nota, il brand deve cercare di inserirsi, soprattutto perché le istituzioni non sono più in grado di influenzare la popolazione, come facevano un tempo. Al loro posto sono comparsi proprio i brand, che agli occhi dei millenials risultano essere più affidabili delle istituzioni tradizionali. Un forte senso di fiducia, quindi, nei confronti del marchio, propensi a fidarsi di lui più che dello Stato.

In sintesi, decidono in autonomia in chi riporre fiducia, perché per loro le istituzioni “non dettano più legge”. Di conseguenza, cominciano a costruire  nuove dinamiche di potere, definite dai ricercatori “altamente sperimentali e in continua evoluzione”. Come ci arrivano al potere? Con modi nuovi, collettivamente, attraverso i social media ad esempio, moderni veicoli di influenza. È grazie a questa nuova forza comunicativa “digitale” che sono nati, negli ultimi anni, i movimenti come il #MeToo e le proteste a Hong Kong.

Ma racchiudere i Millennials in una definizione univoca sarebbe sbagliato e riduttivo. È uno degli scogli più grossi contro cui marchi e brand si scontrano, affrontando non poche difficoltà nel definire una strategia per fidelizzare gli acquirenti. Ci sono però alcune certezze su cui basarsi.

I Millennials sono tecnologicamente pronti, perché cresciuti di pari passo con la digitalizzazione. Sono, infatti, il macro-target di riferimento quando si parla, in questo ambito, di rottura con il passato. Tra questo gruppo di persone esiste grande consapevolezza e competenza in ambito tecnologico, che li rende iperconnessi: non possiamo parlare di loro senza tenere in considerazione gli smartphone, per dirne una.

È grazie ai nostri cellulari, infatti, che prenotiamo un’auto, sblocchiamo un monopattino e noleggiamo una bici fino al parco. La sharing economy permette grossi risparmi in termini economici e ambientali, caratteristiche che gli garantiscono sempre maggiore popolarità tra i giovani, che preferiscono vivere delle esperienze, non collezionare oggetti materiali.

Insomma, piuttosto che possedere un’auto, meglio noleggiarla e impiegare il denaro risparmiato in esperienze di vita che generano ricordi, emozioni (e perché no) che possono essere condivise anche sui social.

Altro accorgimento per i brand che vogliono investire: i Millennials sono abituati a vivere nell’instabilità. Per questo sono maggiormente flessibili ai cambiamenti rispetto alle generazioni precedenti, e convivono tuttora con gli effetti della recessione del 2008.

È vero, guadagnano meno dei loro genitori alla loro età, sono economicamente meno stabili e più colpiti dalla disoccupazione. Se ne preoccupano? Ni. Le loro priorità sono diverse (e molto lontane dal crescere una famiglia numerosa e portare a casa la pagnotta di giornata). Il millennial dà molta più importanza all’espressione di sé e della propria unicità e individualità, adottando uno stile di vita work-life balance: equilibrio tra vita privata e lavorativa.

Giusto o sbagliato è difficile e forse inutile da definire, ma c’è una cosa da tenere a mente: il loro atteggiamento sta influenzando tutte le generazioni successive, trasmettendogli uno stile di vita e scelte di consumo diverse dal passato, di totale rottura. Insomma, investire sui Millenials significa investire non solo sul presente, ma anche nelle generazioni future.

 

25 agosto 2021

 

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