Il futuro passa dallo Spazio

Il futuro passa dallo Spazio

 

Mille miliardi di dollari. È la cifra che nel 2040 potrebbe raggiungere il mercato dello spazio, quell’immensa superficie che ci sovrasta e di cui ancora non conosciamo che una piccola parte. Anche se, secondo i dati presentati nelle scorse settimane da Bruno Tabacci, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio alla Camera, la Space Economy vale già moltissimo: solo nel 2019 il suo valore si è aggirato attorno ai 325 miliardi di euro. Dovuti a cosa? Il 34% riconducibile all’erogazione dei servizi satellitari di telecomunicazione, navigazione e osservazione della Terra. Un altro 36%, invece, per prodotti inerenti all’equipaggiamento sulla terra, per la gestione e l’erogazione dei servizi satellitari (come l’installazione di GPS sugli smartphone).

E l’Italia, in questo settore, ha ottimi motivi per vantarsi al cospetto delle altre nazioni. Il nostro Paese è uno dei pochi ad aver sviluppato una filiera spaziale autonoma e completa, in grado di poter accedere e sfruttare lo spazio senza “rendere conto” a nessuno. Per la precisione, è uno dei sette Paesi con un’agenzia spaziale in grado di portare avanti un bilancio superiore al miliardo. Merito di infrastrutture e sistemi spaziali sufficientemente moderni e attrezzati e del grosso salvadanaio che il governo ha messo a disposizione della “volta celeste”: nel Pnrr, all’interno della missione “Digitalizzazione”, alla Space Economy sono destinati 1,49 miliardi di euro. Denaro che tendenzialmente dovrebbe considerarsi “ben speso”, se si pensa che già dalla parte più propriamente legata allo spazio e all’aerospazio si ottengono ricavi per 100 miliardi di euro (70% provenienti dal mercato istituzionale e 30% da privati).

Con 665,8 milioni di euro il nostro Paese è stato nel 2020 il terzo contribuente dell’Agenzia spaziale europea, dietro a Germania e Francia. Una strategia che a lungo andare potrebbe rivelarsi vincente più di molte altre, dato che “L’unione fra le tecnologie spaziali e digitali produrrà trasformazioni radicali a livello industriale, innovando processi, prodotti e servizi, modelli di business e portando alla nascita di nuove imprese e all’ingresso di nuovi attori tradizionalmente non legati all’industria dello spazio. Le imprese che riusciranno a coglierne le opportunità aumenteranno la propria competitività sui mercati globali e saranno più capaci di rispondere ai bisogni futuri della società”. Sono le parole con cui Paolo Trucco e Franco Bernelli Zazzera, responsabili scientifici dell’Osservatorio Space Economy, hanno descritto quest’epoca di cambiamenti orientati verso l’alto.

Durerà? Bisogna imparare a farla durare favorendo, ad esempio, più partnership tra pubblico e privato, che sarebbe maggiormente in grado di prendersi carico di cospicui investimenti (e per cui non sarebbe un problema attendere qualche anno per usufruire degli utili). Creare, insomma, delle condizioni affinché si verifichino “investimenti pazienti”. Anche perché, diciamocelo chiaramente, è nell’interesse di tutti. Con il tempo potremmo avere servizi sempre più precisi di raccolta e sfruttamento dei dati, strumentazioni in grado di fornirci un valido contributo nella transizione ecologica: prevedere più rapidamente gli effetti del cambiamento climatico o incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Insomma, potremmo pensare allo spazio come ad un grosso tronco da cui si diramano decine di rami più piccoli: un’economia in grado di generare valore anche in altri settori.

In concreto, questi investimenti servono a potenziare un po’ tutti i sistemi e in particolare a impiantare satelliti e tecnologie per comunicazioni sicure a banda larga, a occuparsi di un maggiore monitoraggio e osservazione della terra, della produzione, integrazione e collaudo di piccoli satelliti in Italia e della capacità di fornire la manutenzione in orbita di satelliti e infrastrutture.

A patto, però, che ci sia collaborazione tra diversi settori, trovando soprattutto una strategia comune fra nazione e regioni. Per intenderci, sappiamo che l’attuazione del nuovo piano prevede un aumento del 20% di addetti dell’Aerospazio: cioè circa 1600 persone in più. C’è bisogno, quindi, di prevedere una formazione tecnico-scientifica adeguata alle esigenze. 

Anche se per l’Agenzia Spaziale Italiana e per l’Italia il settore spaziale e la sua esplorazione rappresenta un’importante opportunità di crescita, nessuno ce ne farà una colpa se ogni tanto continuiamo a pensare allo spazio nel modo in cui lo descriveva il giornalista Peter de Vries: “L’universo è come una cassaforte per cui esiste una combinazione; ma la combinazione è chiusa dentro la cassaforte”.

 

17 novembre 2021

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