E-Sport, quando i giochi diventano investimenti

E-Sport, quando i giochi diventano investimenti

 

Giocare ai videogiochi non è mai stato così attuale, divertente e coinvolgente. E soprattutto, redditizio. Grazie agli e-sports, competizioni elettroniche organizzate che prendono forma attraverso i videogiochi, l’Italia ha guadagnato nell’ultimo anno un giro d’affari che ammonta a 45-47 milioni di euro. Di cui, 30 milioni a livello diretto (il doppio rispetto al 2020), cioè strettamente collegati all’occupazione. Infatti il 65% del fatturato (€20,4 mln) viene prodotto dai team e-sports stessi. Gli altri 15 milioni, invece, a livello indiretto, ossia generati da tutte le spese correlate al mondo degli e-sports: solo i publisher contribuiscono alla cifra totale con un peso dell’80% (circa €12 mln).

Dagli sparatutto ai giochi di strategia, fino alle gare automobilistiche. Una lunghissima lista di videogiochi, tutti diversi fra loro, “battaglie” che ogni giorno tengono incollati agli schermi moltissimi spettatori, attratti non solo da giocatori professionisti. Ad un panorama così vasto si aggiungono anche semiprofessionisti o amatoriali che si sfidano, sia come individui che come parte di una squadra. Un fenomeno che è diventato internazionale grazie ai campionati e tornei che si susseguono incessantemente. Un’industria che genera già milioni di euro e che si pensa possa arrivare a fruttare introiti miliardari. È quello che si evince dalla ricerca sul mondo e-sport elaborata da Nielsen su commissione di Iidea (Italian Interactive & Digital Entertainment Association), l’associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia, e dalla società di consulenza Ninetynine.

I dati del report, resi noti durante Round One, l’evento dedicato alle imprese attive nel settore e-sports sfiorano cifre raggiunte solo da grosse piattaforme mondiali. Basti pensare che ogni giorno 475.000 persone in Italia dichiarano di seguire un evento e-sports, come fan. E se consideriamo anche le persone che dichiarano di seguirne almeno uno ma non ogni giorno, la cifra sale a 1.620.000. Un +15% rispetto a poco più di un anno fa, raggiunto principalmente per la partecipazione di uomini con un’età media tra i 20 e i 40 anni. La stessa fetta di popolazione che in tv ha guardato molti meno programmi di calcio (-14%), tennis (-15%), ciclismo (-27%) e basket (-25%), prediligendo invece gli e-sports, spesso seguiti su Twitch. La società ha dichiarato un consumo orario medio (3,2 ore a settimana) molto simile a quello di Netflix e Spotify.

I motivi per cui il settore è in crescita sono tanti. Non si gioca più solo per trascorrere del tempo (spesso passato in solitudine). L’e-sports è diventato un mezzo di condivisione o un modo per imparare dai migliori, cercando di carpire trucchi e consigli di chi gioca dall’altra parte dello schermo. Oppure, lo si fa semplicemente per socializzare. Alcuni pensano sia anche un ottimo modo per imparare una lingua (solitamente l’inglese) e per affinare alcune doti che, in generale, sono sempre molto utili anche nella vita reale. Come il problem solving, ad esempio, oppure la capacità di affrontare una sfida con la giusta (e sana) dose di competizione. Secondo il professore Paul Zak, neuroscienziato americano, i giochi riducono lo stress nella presa delle decisioni e possono essere un modo molto efficace per raggiungere l’indipendenza finanziaria perché ci mantengono focalizzati sul compito da svolgere.

Più concretamente di positivo c’è, per chi investe in questo settore, il fatto che gli e-sports sono in grado di ingaggiare gli utenti molto di più rispetto ai media tradizionali (come radio,TV, stampa): elemento che attira sempre nuovi sponsor. I brand che si affiliano a questo settore acquistano agli occhi dei fruitori tratti positivi: capacità di stare al passo con i tempi, avanguardia, innovazione.

Questo non significa che la strada sia priva di ostacoli, anzi. Il fatto che gli e-sport prevedano un adeguato sviluppo infrastrutturale della rete, per collegare varie aree del paese e incentivi economici, non ci agevola affatto. L’Italia su questo ha molta strada da fare ma, “Considerando anche la continua crescita della fanbase, è sempre più urgente riuscire a definire una strada comune insieme alle componenti istituzionali e del settore privato per superare le criticità di tipo tecnologico e regolamentare che ne frenano l’ulteriore sviluppo industriale e occupazionale”, ha detto Tommaso Mattei, Head of Consulting Europe, MENA & Mexico di Nielsen Sports & Entertainment

Soprattutto perché, più in generale, lo scorso anno il settore dei videogiochi ha generato 175 miliardi di dollari di ricavi a livello globale, con oltre 2,7 miliardi di gamer, provenienti da tutto il mondo. Colpa o merito del covid, l’industria dei videogame ha ufficialmente superato per la prima volta gli introiti singoli di televisione, cinema e musica, dimostrandosi leader nell’ambito dell’intrattenimento.

Solo in Italia ha raggiunto il valore di 2,2 miliardi di euro, con una crescita del 21,9% rispetto all’anno precedente e circa 160 imprese che se ne occupano, dando lavoro a 1.600 addetti, di cui il 79% ha un’età inferiore ai 36 anni. Il Censis dice che se si investiranno nel gaming i 45 milioni di euro previsti dal Pnrr, alla voce “Finanziamento delle piattaforme di servizi digitali per gli sviluppatori e le imprese culturali”, nei prossimi cinque anni il fatturato delle imprese italiane del settore salirebbe da 90 a 357 milioni di euro, con la nascita di 1.000 nuovi posti di lavoro.

Secondo Massimiliano Valeri, direttore generale del Censis, “È giunto il momento di accendere un cono di luce sul settore del gaming, non soltanto per il rilevante contributo economico e occupazionale dell’industria italiana dei videogiochi. Ma anche per le funzioni sociali che può svolgere, finora sottovalutate: dal supporto alla didattica nelle scuole allo sviluppo delle abilità cognitive dei giovanissimi. Gli italiani dimostrano in larga parte di esserne consapevoli, ora va svecchiata una certa narrazione stereotipata”.

 

 

22 dicembre 2021

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